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mercoledì 20 maggio 2015

Tenebra di David Pratelli Recensione

Buongiorno! Oggi vi segnalo la recensione al romanzo Thriller/Horror di David Pratelli, intitolato Tenebra e pubblicato dalla Casa Editrice Kimerik. Un romanzo sicuramente forte, incentrato su un serial killer spietato ma che non mi ha convinto. Leggete e scoprite perché.


Lasciatemi un commento con le vostre impressioni se vi va!



Titolo: Tenebra
Autore: David Pratelli
Editore: Kimerik
Pubblicazione: Marzo 2014
Genere: Thriller/Horror
Pagine: 182
Prezzo: 11,90
Trama

Il romanzo narra la storia di un uomo, Lucas, che sin dall’età di 16 anni compie gesti folli e atroci in nome di una vendetta personale, uccidendo e poi seppellendo tutte le donne che lo deridono e lo rifiutano. Il mistero che avvolge il Tenebroso è il filo conduttore di tutto il racconto. Il suo passato è avvolto dal mistero, ha un carattere introverso e apparentemente tranquillo. Le sue azioni lo fanno sentire libero e sicuro nell'affrontare la quotidianità, come se la sua anima vivesse in una assoluta normalità, senza complessi ne turbolenze. Dopo il primo omicidio compiuto ai danni di Ginevra, ragazza conosciuta a scuola che si era presa gioco di lui facendogli credere di esserne innamorata, Lucas sparirà nel nulla senza lasciare alcuna traccia. Dell’omicidio se ne occuperà il commissario Taddei che, nonostante le ricerche fatte tutte inutili fanno si che il caso venga archiviato , non perderà le speranze di trovare l’assassino. Dopo 20 anni una palestra di Roma sarà luogo di un omicidio che trova sconcertanti corrispondenze con quello compiuto tanto tempo fa dal Tenebroso: la ragazza dopo essere stata brutalmente uccisa viene seppellita. Gli omicidi si susseguono, sempre con gli stessi rituali e la polizia brancola nel buio, Taddei, ormai in pensione, convinto che dietro a questi delitti ci sia la mano di Lucas decide di collaborare con il commissario Soavi responsabile delle indagini. La suspance lascia tutti con il fiato sospeso fino alla fine. 


Biografia 

 David Pratelli nasce il 21 dicembre 1970 a Pontedera in provincia di Pisa. Le sue capacità di imitare si vedono fin dai primi anni di scuola, nel 1994 esordisce nella tv nazionale nel varietà di Pippo Franco Avanti un altro in onda su Canale 5, cui seguono altre apparizioni in diverse trasmissioni Nazionali. Nel 2002 arriva la svolta, con la vittoria del campionato italiano degli imitatori "Sì sì è proprio lui", su Rai Uno la regia di Pierfrancesco Pingitore. Seguono le sue partecipazioni a Uno di noi, Di tutte di più, il Derby del cuore, nel 2005 partecipa a Buona Domenica nelle vesti di Ciccio Graziani, dal 2006 al 2009 lo vediamo a Guida al Campionato, nel 2008 -2009 è anche ospite a a Lunedì gol e nel 2009 a Stracult. Dal 2009 al 2011 è ospite fisso a Quelli che il Calcio, nel 2012 e 2013 ospite a Tale e quale Show e nel 2011-2015 nell’Anno che verrà. Nel 2014 rivela la sua passione nascosta cioè scrivere romanzi gialli-horror, pubblicando il suo primo romanzo Tenebra, tenuto molti anni nel cassetto.





Tenebra è il primo romanzo di David Pratelli, imitatore molto conosciuto per le sue numerose partecipazioni a programmi televisivi e di intrattenimento. E’ un giallo-horror che già nella prefazione, scritta direttamente dall’autore, mette in evidenza l’intento molto lontano dalla comicità e dalla veste pubblica dello scrittore, di inscenare una storia dove è la matrice psicologica, unita ad una vicenda terribile ed inquietante, ad essere l’indiscussa protagonista.

“Fare l’imitatore non significa essere solo così; ma in qualche maniera reinventarsi nello scoprire una parte di noi stessi.”

David Pratelli mostra un lato di sé sicuramente poco conosciuto. Afferma lui stesso di aver indossato la maschera del comico, sia per scelta che per esigenza, lavorando soprattutto per far ridere la gente ma i romanzi gialli sono da sempre la sua passione nascosta. Fare lo scrittore, nel suo caso,  vuol dire reinventarsi, trovare un modo nuovo per proporsi, mettere in gioco altre parti di sé, rischiando anche qualche delusione. Ma l’importante, direbbe qualcuno, è provarci, sempre e comunque.

Il romanzo si divide in capitoli molto brevi, anticipati sempre da un titolo, coinciso e spesso provocatorio che tenta di riassumere in piccole frasi l’intento ed il senso di ciò che si andrà leggendo. L’intera storia si concentra sul protagonista del romanzo: Lucas, un giovane adolescente di 16 anni che già a quell’età compie il suo primo omicidio. La sua descrizione è veloce e sfuggevole, pochi elementi per inquadrare una figura che dall’inizio alla fine parla pochissimo e appare ancora meno. E’ timido, isolato, votato esclusivamente alla solitudine ma sicuramente di aspetto gradevole perché non sembra avere grosse difficoltà con le ragazze se non esclusivamente per la sua indole alquanto chiusa e tenebrosa. Di lui nessuno conosce nulla, persino i suoi genitori non sembrano mai esistiti e dopo il primo omicidio, di una ragazza della sua stessa età, morta con numerose pugnalate, Lucas scompare definitivamente come se non fosse mai nato.

"Dopo quell'atto compiuto non esiste più, non c'è più traccia di lui; i suoi genitori non si sono mai visti e nessuno li conosce, nessuno sa niente di quella famiglia, nessuno ci ha mai avuto a che fare. Ma perchè un comportamento così atroce?"

L’inizio costituisce un’ottima premessa per un seguito altamente intrigante che però, purtroppo, non arriva. Le azioni sono scandite dai continui omicidi che il serial killer compie, tutti inesorabilmente ai danni di donne, che hanno in qualche modo a che fare con lui. E’ chiaramente uno psicopatico che però riesce ad uccidere in modo sfrenato e a non farsi catturare con una semplicità che appare alquanto esagerata ed improbabile.
Uccide e pugnala come se niente fosse, in ogni dove e a qualunque ora del giorno e della notte, senza mai sbagliare, senza mai lasciare una traccia che lo possa incriminare, al di là di una ripetitiva scritta: Questa è la mia vendetta.

Capiamo, dunque, fin dall’inizio, che c’è molto di non detto dietro questo personaggio che agisce poco per conto suo e molto attraverso le parole degli altri. Lo incontriamo solo quando deve uccidere ed è peggio di un’arma letale: veloce ma purtroppo non indolore per le povere donne che gli capitano sotto. Le indagini si ingarbugliano, i commissari non sanno che pesci prendere, e in un apparente casino che non sembra avere una soluzione plausibile, i sospetti si concentrano sugli insegnanti ed i frequentatori di una palestra dove avviene quello che erroneamente viene creduto il primo omicidio.

"Il piccolo pool che si è creato tra Soavi, Martelli e Taddei decide di dare un nome al killer inarrestabile, lo battezza Tenebroso, l'uomo che vive nel mistero."

Lo stile dell’autore non mi ha convinto. Numerosi gli errori ed i refusi dovuti probabilmente all’assenza di editing ma ho notato anche una mancanza di spessore nella scrittura e nel linguaggio usato. E’ come se non emergesse la personalità di chi scrive, o meglio non fosse definita. Uno stile che a tratti sembra ripetere esclusivamente il clichè dei resoconti fatti nei commissariati, quindi in totale assenza di metodo narrativo, di pathos e di partecipazione. Sembra, in alcuni momenti, di assistere meccanicamente ad un’indagine, condotta in modo freddo e distaccato e non di leggere un romanzo che dovrebbe, come minimo, contenere suspense e mistero.

Il nocciolo della questione sono sicuramente le motivazioni che stanno dietro a questi omicidi realizzati in modo così atroce e vendicativo. Il serial killer si muove indisturbato, uccide a proprio piacimento, pugnalando prima, poi tagliando la gola e alla fine violentando barbaramente le proprie vittime, in un escalation comportamentale che dovrebbe essere quantomeno terribile eppure qualcosa continua a mancare. Insomma si diverte con tutto ciò che l’autore gli mette a disposizione, con una sveltezza, leggerezza, tranquillità che seppur potrebbero davvero coesistere in un omicida di questo calibro, appaiono nel libro abbastanza poco credibili, perché non sono supportate da una chiara e consistente definizione del personaggio. 

In altre parole, in un thriller che abbia spessore e che sia capace di coinvolgere, è necessaria la presenza di un Male che abbia una sua dignità, uno scopo, una qualche valenza che porti il lettore ad interessarsi allo scontro e all’eventuale risoluzione del caso. Il nemico, dunque, di qualsiasi entità sia, deve avere una personalità forte, determinata, deve incutere timore, perché anche se le sue motivazioni resteranno fino alla fine sconosciute, esse devono a maggior ragione complicare, seppure nel silenzio e nel non detto, il portatore di tale malvagità e ferocia. Insomma, anche se non sappiamo perché agisce in quel modo, dobbiamo egualmente sentirlo sulla pelle, avvertire i brividi di una tale forza agghiacciante e cattiva, vendicativa, irrazionale, tanto da farci arrivare fino alla fine con la curiosità in gola. 

Il protagonista di questo romanzo invece sembra un burattino nelle mani dell’autore. Sembra un pupazzo che appare e scompare quando qualcun altro lo decide, che agisce come se fosse costantemente allo sbaraglio, come se neanche lui stesso sapesse perché. Quello che manca, secondo me, è la consistenza del male, l’occhio impassibile ma allo stesso tempo penetrante di un’ombra che dovrebbe inquietare, invece resta amaramente inspiegabile, come se fosse tristemente relegata in un angolo senza avere nemmeno il coraggio di affrontare il suo stesso ruolo micidiale.

La storia si complica quando il passato irrompe improvvisamente nelle indagini, coinvolgendo anche personaggi che sarebbero dovuti scomparire. La trama non risparmia qualche sorpresa e il finale riporta in modo logico e consequenziale tutto le cose al loro posto.

Ciò che mi lascia perplessa è la costruzione dei personaggi, eccessivamente semplificata, l’uso del presente storico che danneggia la profondità e la capacità attrattiva contenuta nella narrazione, perché manca di azione, di partecipazione, di sfondamento di quelle mura dell’attenzione che dovrebbero saltare in aria di fronte a tanta crudeltà, eppure restano dannatamente intatte. Nonostante il serial killer sia il Tenebroso, così come lo chiamano i poliziotti, nonostante la sua storia, come scoprirete non è delle più facili, manca di una identità vera e propria e purtroppo manca anche dall’altra parte, ossia in coloro che dovrebbero contrastarlo. A parer mio, modesto e senza alcuna pretesa di sentenziare un romanzo, che giudico solo in base al mio personale parere, l’uso del presente storico ha reso meccanica la narrazione, convertendola ancora di più verso una somiglianza irreparabile e svantaggiosa nei confronti di un’analisi tipicamente poliziesca che manca della caratteristica del romanzato.

E’ come se l’autore volesse condurre la narrazione su due binari paralleli: quello del romanzo e quello dell’indagine tecnica e fredda, accompagnata da una volontà altamente dichiarata di voler far luce sulle motivazioni di chi uccide. Infatti questo concetto viene continuamente espresso sia all’inizio che durante la narrazione, seppur la dichiarazione non permetta in alcun modo di capirci qualcosa in più. Anzi, non riuscendo né nell’uno che nell’altro aspetto, ciò che è venuto fuori è soltanto maggiore confusione e straniamento.
Straniamento perché si parla più di una volta di identità del Tenebroso. Lo scopo dell’intero romanzo sembra essere quello di spiegare chi è questo assassino e perché fa tutto questo.
Ebbene questo non è un compito facile, sappiatelo. Per far sì che un lettore, quando legge una storia, si appassioni ad essa ed arrivi al punto di desiderare così ardentemente di conoscere il destino di uno dei personaggi, ancor più se si tratta del protagonista, al di là del bene o del male che esso rappresenti, egli deve amarlo o odiarlo. Non importa quale delle due, l’importante è che uno dei due sentimenti lo prenda per mano e lo conduca, trascinandolo o spingendolo, inseguendolo fino alla fatidica ultima pagina. La storia, il destino, il passato, la memoria di un personaggio è la chiave di lettura di un romanzo. La sua identità è il pass che ci permette di entrare e di non volercene più andare a tal punto che poco importa dove ci porterà. Posso solo dire che il protagonista di Tenebra non l’ho amato e non l’ho neanche odiato. E’ rimasto distante da me e non perché sia cattivo o perché io abbia parteggiato per chi doveva combatterlo, ma perché semplicemente io non l’ho sentito. Non mi sono sentita parte di quel mondo, né del suo bene e né del male, non ho tremato di fronte a lui, né ho provato ammirazione. E anche quando ho chiuso il libro, non ho desiderato restare, forse perché in realtà non sono riuscita ad esserci veramente.

Mi aspettavo molto di più da questo romanzo, che già dal titolo mi aveva incuriosito molto. Amo i thriller, soprattutto quando sono creati sulla base di una costruzione del male, del nemico, dell’antagonista di spessore e con cognizione.  Ho visto cose che non mi sono piaciute e allo stesso tempo non ne ho viste altre che mi sarebbe piaciuto sentire, incontrare, conoscere. Credo che ci sia stata troppa fretta nello scrivere e di conseguenza poca attenzione, cura nell’adattare la storia. Fretta nella narrazione, un finale dichiarato troppo velocemente, un linguaggio caratterizzato da frasi troppo brevi, spesso banali ed un eccessivo uso dei punti di sospensione. Fretta nel non dare il giusto valore ad una storia che se scritta diversamente, meriterebbe molto di più. E proprio per questo ciò che mi sento di dire all’autore è di mettere fuori molto di più della sua visione, della sua personalità di scrittore. Lasciata così sembra soltanto una storia di odio, di vendetta e di morte che viaggia attraverso le parole senza uno scopo, senza una destinazione. Ferocia, brutalità, sangue che almeno per me, non sono riusciti a coinvolgere. Ogni storia ha diritto al suo posto nel mondo, ma che sia un posto adatto ad essa, della sua misura e soprattutto del suo valore.




2 commenti:

  1. Ciao! Ti ho nominata sul mio blog per il Boomstick Award. Passa a trovarmi!

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    1. Ciao Robin! Grazie mille per questa nomina, passo subito da te! <3

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