Ultime recensioni

domenica 3 settembre 2017

❀ L'amica intervista: Filippo Semplici, autore di Ti guarderò morire

Buona domenica! Oggi inauguro una nuova rubrica che riguarderà le interviste agli autori, esordienti e non. Con questo spazio voglio aiutare i nuovi autori a farsi conoscere, perchè è questo il motivo originario per cui questo blog è nato, e dare la possibilità di esprimersi parlando di letteratura, di scrittura e di tutto quello che concerne questo mondo meraviglioso, di cui facciamo parte tutti.
Diamo il benvenuto a Filippo Semplici che oltre ad essere autore, è anche curatore di un blog che come il mio, si occupa di dare consigli e di ospitare proprio gli scrittori emergenti e non solo. Pronti a conoscerlo? 

INTERVISTA

Filippo Semplici

Salve Filippo, grazie di aver accettato questa intervista e benvenuto!

Grazie a te, per me è un onore essere tuo ospite!


1 - Cosa significa per te scrivere e quando hai iniziato seriamente a farlo?

Ricordo che il primo racconto l’ho battuto a macchina all’età di quattordici anni. Da allora non ho più smesso. La mia prima pubblicazione risale al 1999 con Fanucci, un breve racconto selezionato da Valerio Evangelisti. Successivamente ne sono seguite altre, tutte con editori diversi. 
Non mi piace filosofeggiare sui motivi che spingono uno scrittore a prendere carta e penna, ritengo che ognuno abbia i suoi, ed è giusto che sia così. 
Per quel che mi riguarda posso dire che quando scrivo parlo ai miei fantasmi, quelli che ho dentro e che lascio uscire di tanto in tanto. Ma siccome non sono tutti degli angioletti, preferisco decidere io sulle loro libere uscite.


2 - Cosa rappresenta per te questo romanzo? Perché lo hai scritto?

Mentirei se rispondessi che l’ho scritto solo per divertimento. In realtà l’ho fatto per paura e rabbia. 
Per paura: 
mi sono imbattuto in certe leggende urbane del web e dintorni, che ho voluto approfondire e mi hanno lasciato sconcertato, soprattutto perché alla fine, di leggende, hanno ben poco. Le cose che ho letto, gli approfondimenti che ho fatto, mi hanno messo a disagio, al punto che non ho scelto io di scrivere questa storia, ma ne sono stato costretto. 
Per rabbia: 
troppi episodi di cronaca, oggi, ci raccontano una realtà in cui le vittime di soprusi la pagano sempre cara, mentre i loro carnefici quasi mai. 
Questo romanzo è dunque un esorcismo contro la mia paura, e un grido di ribellione contro il mondo malato di oggi. 


3 – Qual è il personaggio che ami di più del tuo romanzo e quello che proprio non sopporti?

Quello che amo di più, a costo di essere banale, è Orlando, il protagonista. 
Mi piace perché rappresenta la brava persona, quella che non farebbe mai del male a una mosca, ma che non esita a trasformarsi nella propria nemesi, quando le cose si mettono male. In un certo senso l’ho creato pensando proprio a come una vittima possa rispondere al fuoco col fuoco. 
Quello che sopporto di meno è Faina: spaccone, bravo solo lui, depravato e ignorante. 
Ma in realtà non c’è davvero un personaggio che odio o preferisco più degli altri. In qualche modo, IO sono TUTTI.  

4 – Parlaci dei tuoi romanzi precedenti, senza svelare troppo.

Quello a cui tengo maggiormente è “Il giorno dei morti”, un romanzo in cui ho affrontato l’argomento dei morti viventi, rivisitandone il mito in chiave diversa. Basta con zombi cannibali che invadono la terra, mi sono detto, cerchiamo di rinnovare l’idea del morto che ritorna. Ho inventato quindi una storia “rurale” di zombi molto particolari, che rispondono a leggi assai diverse da quelle a cui ci hanno abituato cinema e letteratura.
L’altro romanzo a cui sono affezionato é “Senza paura”, un thriller breve, che si riallaccia a una leggenda popolare del mio paese, e che mi sono divertito a raccontare a modo mio. Questo libro, per la sua alta componente gotica, anni fa fu adottato come libro di lettura in un istituto scolastico della zona, in risposta alle tematiche di Edgar Allan Poe. 
Infine c’è “Ombre”, una raccolta di racconti in cui ho cercato di dire la mia su certi aspetti della vita e della quotidianità: si va dal Dead man walking, a Babbo Natale, ai malati psichiatrici, fino a storie dal sapore Dylandoghiano.

5 – Quali sono i valori predominanti nelle tue storie? Qual è il messaggio che i lettori dovrebbero cogliere leggendo i tuoi libri?

Un messaggio che mi sono sempre imposto di far passare è che la giustizia, umana o divina che sia, in un modo o nell’altro debba sempre vincere sul male.
Purtroppo la società di oggi sembra incapace di garantire le giuste condanne per i crimini più efferati, così non mi resta che affidarmi alla giustizia dei miei libri.  
Almeno lì, sono sicuro che i cattivi la pagano sempre, e molto cara.
Le mie storie hanno una forte componente di violenza, che non è mai fine a se stessa, ma serve a comprendere l’assurdità stessa di certe azioni e situazioni.
La paura invece è il filo sottile che collega ogni cosa. A dispetto di molti benpensanti, la paura è intelligenza.
Ma non mancano mai neppure umorismo nero e spunti di riflessione.

6 - Chi è Filippo Semplici nella vita di tutti i giorni?

Un impiegato che lavora otto ore al giorno e che si sente maggiormente realizzato solo alla sera, quando diventa scrittore e blogger. 
Ne approfitto per invitare chi lo volesse, a visitare il mio blog, “Nero su bianco”, che offre idee, consigli e servizi per autori emergenti: qui.


7 - Quali sono gli autori a cui ti ispiri?

I primi in assoluto? Lovecraft e Poe.
Ho scritto un romanzo dedicato a Lovecraft qualche anno fa, con il quale ho vinto il secondo premio del Premio Letterario Terni Horror Festival, selezionato da Tullio Dobner, lo storico traduttore di Stephen King. 
Ma oltre ai mostri sacri della letteratura, adoro proprio King (guarda un po’), il mitico Joe R. Lansdale, Barker, ma anche Baldini, che mi ha insegnato ad ambientare le storie nelle campagne della mia terra, e Carrisi, che considero il nuovo maestro del brivido italiano. 
Questi sono i principali, ma ce ne sarebbero troppi, da citare.

8 - Quanto tempo dedichi alla lettura e alla scrittura?

Mai quello che vorrei. 
Solo alla sera, dopo cena. Diciamo tre ore al giorno, in cui cerco di dibattermi tra scrivere e leggere, anche se alla fine nulla manca all’appello.

9 - Quali emozioni provi mentre scrivi?

Divento me stesso, divento tutto e tutti, contemporaneamente. 
Sono il padrone del mondo, sono io, sono qualunque cosa. 
In quei momenti posso fare e disfare, posso affrontare il nemico più cattivo e sconfiggerlo, o posso essere io, il cattivo di turno.
Insomma, sono sensazioni di superbia difficili da descrivere.

10 – Di che colore è il tuo romanzo e se dovessi associarlo ad un odore, quale sarebbe?

Il colore direi grigio. 
Si ottiene mischiando nero e bianco, opposti per natura, come il bene e il male, in un certo senso. Questi sono più meno gli elementi che si scontrano tra le pagine del mio libro.
E l’odore?
Mi viene in mento quello del muschio. Cresce in posti umidi e nascosti, in terreni acidi, alla faccia di tutto e di tutti. Non lo vediamo, ma c’è sempre, e ce ne accorgiamo solo quando inizia a soffocare l’erba buona del nostro giardino. 

11 – Perché i lettori dovrebbero leggere “Ti guarderò morire”?

Perché mi farebbero contento, che diamine!
Scherzi a parte, dovrebbero leggerlo perché al di là della storia, molto adrenalinica e dal ritmo serratissimo, avrebbero la possibilità di conoscere pericoli che spesso ignoriamo, senza accorgerci, vivendo la vita di tutti i giorni; minacce concrete, per noi e i nostri figli, difficili da accettare ma che, vi assicuro, sono tutt’altro che invenzioni. 
Ne approfitto per anticipare che sto lavorando al seguito del libro, dove grazie alla collaborazione con la Polizia di Stato, sarò in grado di approfondire in maniera più dettagliata l’argomento chiave della storia. 

12 – Ti chiedo di lasciarci con una citazione del tuo romanzo che vuoi leggano i lettori.

“Si era calato in quell'abisso nero per dare una sbirciata, ma alla fine era rimasto invischiato nelle tenebre che aveva spiato, fino a smarrirsi dentro di loro. Solo lottando avrebbe ritrovato la luce. Forse. C’era stato un tempo per l’amore, un tempo per la gioia, un tempo per le domande, un tempo per la vita. Ora era solo tempo di vendetta. Si sentiva come un’ombra alla quale era stato strappato tutto, compresa la persona a cui apparteneva. Compresa l’innocenza.
Sì, avrebbe assaporato il calice del suo veleno, avrebbe gustato il veleno della vendetta fino in fondo”.


Nessun commento:

Posta un commento